Si è svolta nei giorni scorsi la venticinquesima edizione della Rassegna d’Arte visiva
Città di San Giorgio organizzata dall’Associazione culturale LINO AGNINI. 25 anni sono un traguardo di tutto rispetto per una Associazione Culturale, in quanto ne nascono tante ma nel volgere di alcuni anni non reggono più alla fatica e all’impegno che costa Organizzare Eventi.
Quest’anno, in occasione della festa patronale che ricorre il 23 Aprile, io e la mia amica poetessa Nunzia Piccinni, siamo state invitate dal presidente dell’Associazione signor Cataldo Piccoli a commentare con i nostri versi le opere partecipanti. Gli Artisti che vi hanno aderito sono stati 30, ognuno del quali ha presentato due opere. Una più bella dell’altra.
Una sera prima dell’inaugurazione (Vernissage) ci siamo recate presso la sede dell’Associazione per fotografare le opere e associare ad ognuna il nome dell’artista.
Sembrava tutto facile, le opere erano belle, non avevamo alcun dubbio sulla riuscita del nostro compito.
Il tempo però non giocava a nostro favore, avevamo solo una settimana. Dovevamo consegnare al più presto i nostri elaborati per essere stampate su pergamena e donate agli Artisti la sera conclusiva della Rassegna. La ND Elisa Silvatici, Socia onoraria e Critico d’Arte, ha fornito i commenti critici dei dipinti che sono stati letti dalle socie Giuseppina Meo e Ilenia Nocera. Il pianista Giuseppe Curci ha allietato la serata con coinvolgenti brani musicali.
P.S. Siamo state brave, io e Nunzia, abbiamo condensato in poesia la magia della pittura. Complimenti a noi e a tutti.
✓ Un giorno camminavo per le vie di Taranto e l’eco della poesia di Anna Marinelli mi accompagnava per le strade, come si accompagna un’amica a prendere un caffè.
La mia mente sorrideva e forse anche il mio volto, inconsapevolmente, la seguiva, come se io fossi realmente in compagnia di qualcuno con il quale scambiare parole d’affetto.
In questa piccola raccolta dal titolo Una panchina vicino al mare la poetessa mi raccontava una storia bellissima: lei mi parlava del suo profondo rapporto con questa città.
Tra le pieghe delle onde in movimento e la panchina statica di fronte al mare, nella mia conversazione immaginaria, c’era Taranto, una città, una storia, un amore: l’amore.
Le poesie che compongo questa breve raccolta sono dei gesti di affetto verso una città che si ama profondamente. Tutto intorno a me, nei miei pensieri, nella mia mente, e tra le righe, nelle parole di questa raccolta di versi, riecheggia Taranto.
Io sento il nome nascosto, celato come un segreto, io vedo Taranto e sento il profumo del mare, e odo il rumore del porto e vedo i gabbiani diventare delfini a cavalcare la millenaria storia di questa stupenda città.
E intanto Taras appare potente come un dio. Taras, amore nostalgico che non tornerà mai più, Taras, anelito verso l’infinito e attesa di un giorno in cui avverrà finalmente il ricongiungimento.
Così su questa panchina di fronte al mare passano gli anni e passano le stagioni: i papaveri fanno primavera, la pioggia violenta dell’estate, la pioggerella d’autunno, il vento d’ottobre si alternano nel vortice della vita.
E le ore del giorno inseguono quelle della notte e i pensieri danzano di fronte all’insonnia, al tormento che non è mai disperazione ma pura rassegnazione.
Ma la freschezza della penna di questa adolescente quasi ottantenne rompe senza indugio il tema della rassegnazione perché la signora Marinelli dimostra di avere negli occhi aperti quel sogno che le fa dire sempre Amore, avanti, avanti! ◦
Penso, e ne sono convinta, potrei impazzire in questo silenzio potrei perdermi in questo spazio di cattedrale trapassata dalla luce. grido forte nel mutismo labiale, chiamo tutti per nome. parlo allo specchio e mi rispondo per pietà di me stessa smarrita nell’ingresso della casa, amplissimo. sfoglio l’album dei mille volti e dai mille nomi, caleidoscopio delle voci perdute. “Potessero le mie mani sfogliare la luna” mentre intorno è desertica pianura e le voci del passato sono tutte lontane. dove siete bambini dalle gaie risate. chi vi canta ora la serie dei numeri, e la ninna-nanna di Brahms, le sole capaci di convincere il sonno a dimorare nei vostri occhi. lo stesso sonno che ora diserta i miei? ————————— *Garcia Lorca
Il mio blog di recente stava reclamando vivacemente perchè non lo stavo curando più, lo aveva un pochino abbandonato, quella passione dei primi anni si stava, anzi, si era affievolita. Possibile che non stavo facendo più niente? Possibile che mi fossi arresa? Mai è poi mai! Il 13 febbraio scorso, a motivo del fatto che San Valentino cadeva il giorno del Mercoledì delle Ceneri. ho organizzato una serata all’insegna dell’Amore, presso la mia abitazione. Non vi dico quanti giorni prima ho iniziato ad allestire la sala, Aggiungere sedie, spostare poltrone, spolverare il lampadario, lucidare qualche oggetto d’argento che si era un pò scurito. Ho sfoderato una tovaglia pregiatissima, tutta ricamata ad intaglio…e per stirarla mi si è atrofizzato il braccio… insomma, la fine del mondo.
E del buffet non vi dico, chiacchiere di Carnevale, ciambelle, crostate e Baci, baci Perugina a profusione. Non ultimo, ho preparato una squisita sangria servendola in una coppa di cristallo che mi portai in aereo da Berlino 20 ani fa. La fine del Mondo!!!
Buongiorno Amici, sembrava una data così lontana, ma è arrivata velocemente, e quasi ci coglie di sorpresa.
Domani 15 Gennaio 2024 si terrà la presentazione dell’ultimo libro di poesie della poetessa Nunzia Piccinni (Versi Di Vento) dal titolo “La Lana Sul Cuore” Gian Carlo Lisi Edizioni,
luogo deputato e ambito da artisti, pittori ed estimatori per ospitare le loro creazioni pittoriche e le loro opere letterarie. Si è appena conclusa con successo la 26esima Mostra Concorso del Presepe che ecco un altro evento culturale è alle porte.
DELLA POETESSA NUNZIA PICCINNI (Versi Di Vento) GIAN CARLO LISI EDIZIONI
UN LIBRO E’ UN LUOGO.
Quando si riceve, si acquista o si apre un libro, specie se di poesie, occorre fare molta attenzione, perché non si aprono solo pagine di carta, ma si entra nel vissuto di chi le ha scritte. Si dovrebbe entrare chiedendo “ E’ permesso?”, “Si può?”
Un libro è un Luogo in cui abitano e convivono tre inquilini, tre entità: il Cuore, la Mente e l’Anima.
La mente è un meccanismo complesso e meraviglioso che ci serve per inserirci nell’ambiente, prendere contatto con gli altri, organizzarci per realizzare i nostri obiettivi e progetti. Essa è la sede del Pensiero che distingue l’uomo dalle cose inanimate, dalle piante, dalle rocce, dagli animali che pure sono esseri capaci di intelligenza e istinto e di provare affetto.
Il cuore, oltre alla funzione prettamente fisica di pompa deputata a far scorrere il sangue nelle vene e nelle arterie, rappresenta l’apertura alla comprensione e all’empatia. Ci consente di percepire l’altro, creando un contatto affettivo, di accoglienza e affinità.
L’anima è qualcos’altro, è un’alchimia tutta interiore, è un’entità impalpabile, non fisica, che attiene alla vita soprannaturale. Essa riguarda la spiritualità, il divino. Quell’alito che Dio immise nel nostro primogenitore fece dell’essere umano qualcosa di simile agli angeli.
Il cuore, l’anima e la mente sono in costante relazione tra loro, sempre alla ricerca della felicità. Sono intercambiabili tanto che quando affermiamo e palesiamo un sentimento d’amore diciamo sia “Ti amo con tutto il cuore” che “ti amo con tutta l’anima”.
Nunzia in questa sua elegante pubblicazione ha descritto il suo Cuore come entità fisica bisognevole di cure, attenzioni, manifestazioni affettive. Esse servono al mantenimento dell’esistenza, a dare calore quando questa viene ghermita dal gelo dell’assenza di quelle componenti essenziali che le fanno percepire l’inverno nel cuore. Gli abbracci, l’empatia, il bisogno di relazioni umane e affettive, ma soprattutto essere guardati con occhi d’amore sono esigenze indispensabili per la Nostra Nunzia, per sentire meno freddo, per sentirsi meno sola. Sono la fiamma che arde nel camino in tempo d’inverno. Rappresentano il calore che emana la lana quando indossiamo uno scialle avvolgente come un abbraccio. “La cura migliore è l’amore”, afferma la poetessa .“Alzo gli occhi al cielo e la preghiera guarisce ogni ferita”. Ma quali ferite hanno graffiato la sua anima? Quale gelo l’ha pietrificata? Quale dolore l’ha maturata?
“Avevo fame, non di pane ma di parole, per riempire il vuoto di giorni senza gioia”. “Avevo sete, non di acqua ma di amore, per risanare l’arsura di mesi senza miele”. “Avevo sonno mentre sognavo di dormire su cuscini di carezze.” L’autrice non parla necessariamente di sé, perché il poeta ha la capacità di indossare il dolore del mondo come un cappotto in tempo d’Estate. Porge la sua attenzione “a tutti i malati/ a chi combatte/ a chi resiste / a chi non ce la fa.” La poesia si veste dunque di universalità; si fa grido che squarcia l’omertà; denuncia il potere dei potenti; punta il dito su coloro che affamano i popoli e seminano la morte di bambini innocenti.
“Nunzia Piccinni offre in questo suo ultimo libro preziosi spunti di riflessione che attingono dal suo bagaglio letterario e filosofico ma soprattutto dalle sue esperienze, dalla sua voglia di esplorare e dalla sua innata predisposizione ad entrare in empatia con le persone, offrendo attenzione a chiunque ne abbia bisogno”. Si esprime così nell’esauriente prefazione la sua professoressa di lettere, Gabriella Anodal.
Posso solo aggiungere che le chiuse delle sue poesie sono come l’ultimo colpo dei fuochi d’artificio. Ti colpiscono, ti stendono con occhi di meraviglia e ti lasciano senza fiato. Ho tanto da imparare dalle liriche della mia amica Nunzia. Bisognerà che io sfoltisca, che io poti senza pietà quelle che io chiamo le mie poesie. Bisognerà dare alla parola l’essenzialità della Parola primordiale, senza arrivare alle sgraziate parole del nostro tempo tecnologico. Le sue poesie sono come stilettate che colpiscono il lettore sulle guance del cuore.
Nella sua splendida poesia intitolata “Rondini” l’autrice, in un dialogo incalzante con le rondini, le esorta ad aspettare di tornare quaggiù perché questo tempo non è favorevole alla loro venuta. “ Amate rondini/che ogni anno migrate da un posto all’altro in cerca di calore/aspettate a venire quaggiù, non è ancora il tempo/ care rondini, volate altrove/dirigetevi lì dove il mare mormora tra dolci onde”. E mentre depenniamo ancora un giorno al calendario, ci auguriamo con Nunzia che giunga presto il tempo giusto per ognuno. Il tempo per seminare e il tempo per raccogliere quell’amore che scalda i cuori.
Amare ed essere riamati è la sola “lana” che può scaldare anche i cuori più tristi.
La più grande poetessa italiana del secolo è senza dubbio Alda Merini. Alda Merini inizia a comporre le prime liriche a quindici anni e il primo, autentico incontro con il mondo letterario avviene l’anno successivo, quando una cugina di Ada Negri, sottopone alcune delle sue poesie a Angelo Romanò che, a sua volta, le fa leggere a Giacinto Spagnoletti, considerato tuttora il primo scopritore della poetessa. Proprio nel ’47 la Merini inizia a frequentare la casa di Spagnoletti, dove conosce, fra gli altri, Giorgio Manganelli che fu un vero maestro di stile per lei, oltre che suo primo grande amore . Ma il ’47 è anche l’anno in cui si manifestano i primi sintomi di quella che sarà una lunga malattia. Già dai suoi primi componimenti si intuiscono quelli che saranno motivi ricorrenti nella poetica della Merini: l’intreccio di temi erotici e mistici, di luce e di ombra, il tutto attraversato da una concentrazione stilistica notevole, che nell’arco degli anni lascerà spazio a una poesia più immediata, intuitiva. Nel ’53 sposa Ettore Carniti dal quale ha avuto 4 figli. Alla sua morte avvenuta nel 1981 rimasta sola, la Merini inizia un’amicizia a distanza con il poeta tarantino Michele Pierri. L’intesa fra i due si fa sempre più forte, malgrado i trent’anni e la distanza che li separano. Nell’83 dedica al poeta, e alla memoria del padre, la raccolta Rime petrose, le liriche Per Michele Pierri e Le satire della Ripa; nell’Ottobre dello stesso anno i due si sposano e la Merini si trasferisce a Taranto. Pierri — il quale era stato medico prima di dedicarsi interamente alla poesia — si prende cura di lei e nell’85 nascono le liriche della raccolta La gazza ladra. Sempre nello stesso periodo la Merini completa la stesura del suo primo testo in prosa “Diario di una diversa “, nel quale la devastante esperienza dell’internamento viene descritta in una prosa dal forte accento lirico . Nell’86 fa ritorno a Milano e riprende a frequentare gli amici di un tempo. Destino di questa donna fu, e continua a essere, quello di aver nuotato a lungo controcorrente, quello di aver amato, con passione, con ferocia, con rabbia e riposo. Giorgio Manganelli ebbe a dire di lei “la sua scrittura è impegnata nella ricognizione dell’inferno” Ora c’è persino chi trova in essa le riverberazioni di una poesia “mistica“ a significare quanto cammino abbia compiuto la parola poetica di questa donna singolarissima.
CARME PER ALDA
Come la rosa così la tua Vita, Alda si sveste di tutte le passioni che l’hanno vestita di carne, resta a noi un tappeto di versi sul quale deporre un fiore per te spogliata da ogni affanno, da ogni pena, ora voli alta ai confini del mondo dove ogni follia si copre d’ innocenza.. vai…cammina su passerelle di nuvole e bianchi destrieri s’inginocchiano davanti a te,
Cavalca libera, agita verso di noi la tua leggera mano che solo arma di poesia impugnò e ti rese libera come aquila che svetta sui crinali della illimitata fantasia. Ti chiudo le palpebre con un sorriso, l’ultimo che posso offrirti, amica mia, Alda
Anna Marinelli
Come la rosa
così la tua Vita, Alda si espolia di tutte le passioni che l’hanno vestita di carne, resta a noi un tappeto di versi sul quale deporre un fiore per te spogliata da ogni affanno, da ogni pena, ora voli alta ai confini del mondo dove ogni follia si copre d’ innocenza.. vai…cammina su passerelle di nuvole e bianchi destrieri s’inginocchiano davanti a te… cavalca libera… agita verso di noi la tua leggera mano che solo arma di poesia impugnò e ti rese libera come aquila che svetta sui crinali della illimitata fantasia. Ti chiudo le palpebre con un sorriso… l’ultimo che posso offrirti, amica mia, Alda.
Il vento nel giardino dei melograni si alzò lieve, smosse le foglie di un verde smeraldo, le solleticò, ed esse risero danzando, rese le guance dei melograni di un rosso carminio come chi arrossisce per amore. per un lungo momento li sedusse e li fecondò di succo asprigno… colmò i calici del desiderio per la sete di labbra vittime dell’arsura di agosto. passò tra i muri scorticati scherzando con i gatti dei cortili. poi, come richiamato ad altra impresa, si allontanò, non senza aver lasciato me con la bocca colma di stupore. ero ritornata bambina, come quando i miei occhi videro la prima volta un giardino dell’Eden sulla terra, dove danzavano, lieti, i melograni.
(antico mestiere) voce composta da ccònza, che deriva da ccunzare (riparare) e crasta (vaso). Artigiano che riparava brocche, vasi di creta, mastelli per il bucato, pignatte e piatti di ceramica girando per il paese con la sua cassetta degli attrezzi. Per tutti gli abitanti egli era il chirurgo dei vasi in terracotta. Riparava con maestria ogni utensile di terracotta di uso quotidiano che incidentalmente si scheggiava o si rompeva. Capase, capasuni, capasedde, limmi, piattriàli, vummìli, craste ti lu còfunu crepati o addirittura rotti erano i pazienti che lui curava con amore e bravura. Tutto riusciva a sanare, a riattaccare. Il suo passaggio, settimanale o mensile, era atteso dalle massaie come una vera benedizione. Era abile nel suo mestiere e attirava molti ragazzini curiosi e divertiti attorno a sé.